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Il Coma ed il risveglio: Un viaggio nel Limbo della Coscienza

  • Immagine del redattore: Stanislav Ricci
    Stanislav Ricci
  • 20 giu 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Il coma ed il risveglio.

È con uno sguardo fisso e smarrito che mi ritrovo a guardare oltre le pareti bianche della stanza della rianimazione, intrappolato in un limbo incerto tra la vita e la morte. La mia mente è annebbiata, i frammenti di memoria si aggrappano alle mie sinapsi come foglie in una tempesta, mentre cerco disperatamente di afferrare la realtà sfuggente che mi circonda.

Ricordo ancora il fragore dell'incidente, il dolore che mi ha squarciato l'anima e il mio ultimo istante di coscienza al Pronto Soccorso dell'Ospedale Maggiore di Bologna. Poi tutto è svanito, sommerso in un vuoto profondo e insondabile. Non ricordo il viaggio in ambulanza, né come sono giunto a trovarmi in quella barella, prigioniero delle domande del medico di turno.

Le parole, appena sussurrate, mi attraversano come un'eco lontana: "Ricordi qualche numero di contatto? Qualcuno a cui possiamo chiamare?". Il telefono, custode di quel legame con il mondo esterno, era rimasto inesorabilmente lontano, sigillato nella mia moto sequestrata dalla Polizia.

la foto ritrae un'infermiera in ospedale con mascherina

La mia mente offuscata non riesce a ricordare altro che un numero, quello di mia madre, un anello persistente nel corso del tempo. Ma come al solito, il destino si compiace nel giocare i suoi scherzi crudeli e mia madre solitamente non risponde quasi mai al telefono. L'infermiera dietro alla scrivania, Agnese, diventa il mio unico punto di riferimento, la mia speranza in quel mare di incertezze. Le sue mani volano sul tastierino del telefono, tentando di raggiungere quel filo invisibile che ci tiene uniti. Ma l'assenza di una risposta da parte di mia madre spinge Agnese a chiedere se ho altri numeri di contatto. Sono attonito, incapace di ricordare altro. Poi, quasi come un sussurro del subconscio, pronuncio due parole, due nomi "Barbara, Frida". Il medico interviene, il suo tono deciso taglia l'aria carica di incertezza: "Quindi, Barbara o Frida?". La mia mente annebbiata risponde senza esitazione ripetendo le stesse parole di prima: "Barbara Frida". Le sue parole risuonano come una sentenza: "Niente, è andato". In quel momento, Agnese all'improvviso alza la testa e domanda: "Ma Frida, il fioraio?". La mia risposta è un fragile , un attimo di luce nella nebbia oscura del mio pensiero. Poi tutto svanisce.

La mia fidanzata, Barbara, una donna coraggiosa che ha trovato la sua vita tra i colori dei fiori, viene raggiunta da Agnese. La telefonata di un ospedale che invita un familiare a recarsi con calma senza allarmarsi troppo. E così, con il cuore in tumulto, Barbara arriva in ospedale, mentre io sono già immerso nella quiete artificiale del coma.

Il coma, quel limbo sospeso tra la vita e la morte, diventa un peso non solo per me, ma anche per coloro che mi amano. La disperazione si insinua silenziosamente nel loro animo, nutrendo l'impotenza di fronte a una situazione così inafferrabile. Non posso descrivere il dolore che Barbara, mia madre e tutti coloro che si sono radunati intorno a me hanno provato. Non posso che immaginarlo, sentire la loro impotenza come se fosse la mia stessa.

Mi rendo conto di quanto la vita sia straordinariamente interconnessa, come ogni esistenza sia intrecciata in una danza di coincidenze e casualità. Bologna, una città di mezzo milione di anime, si rimpicciolisce nel confronto con l'incontro tra Agnese e Barbara, dove il destino sembra giocare con le sue carte misteriose. Barbara si rivela una roccia indomabile, un faro di forza e coraggio in mezzo alla tempesta. Si trova a dover prendere decisioni difficili riguardo alla mia salute, scegliendo tra un futuro incerto e rapporti che si intrecciano con il mio passato. Nonostante la nostra relazione fosse giovane, il suo amore e la sua dedizione hanno superato ogni barriera, aprendo la strada a scelte che avrebbero segnato il corso della mia esistenza.

Il motivo del mio coma, la causa di questo viaggio nel vuoto, risiede nelle conseguenze di quell'incidente fatale. La mia gamba, ridotta a brandelli, è solo il preludio a una doppia frattura frontale che ha causato un ematoma cerebrale devastante. Mentre i neurochirurghi escludevano l'intervento, si sperava che l'ematoma si riassorbisse da solo, affidandoci alla grazia del tempo.

I giorni si susseguono, un'eternità di lotta tra la vita e la morte, mentre il personale medico decide che è arriv

Una stanza di rianimazione in un ospedale

ato il momento di risvegliarmi lentamente. La mia mente si aggrappa a ricordi distorti, visioni in terza persona che fluttuano come foglie al vento. Il confine tra la realtà e l'illusione si dissolve, portandomi a rispondere a domande dell’infermiera sulla mia posizione con un'erronea sicurezza: "Sì, sono a Milano". Solo per scoprire, con un brivido di sorpresa, che mi trovo a Bologna, intrappolato nella rete del mio stato fisico, dopo un grave incidente.

Le allucinazioni danzano nel mio campo visivo, trascinandomi in un viaggio surreale attraverso mondi immaginari. Vedo un volto familiare, un amico d'infanzia che non ho sentito né visto per anni. Con uno stupore sincero, gli chiedo cosa stia facendo lì. La sua risposta, carica di preoccupazione e sollievo, mi svela la verità che ho faticosamente accettato: sono diventato un motivo di spavento per coloro che mi amano.

I giorni passano lentamente nella stanza della rianimazione, un universo limitato da pareti chiare e un'infermiera corpulenta che tiene saldo il timone del mio percorso di guarigione. I ricordi si alternano tra allucinazioni e una lenta consapevolezza della realtà. Le visite, rare e brevi, diventano l'anello di congiunzione tra il mondo esterno e la mia prigione di carne e ossa. Barbara, sempre presente, mi appare oltre la finestra dietro alla tenda veneziana, ma la mia voce inespressa non trova eco nel suo sguardo. Una delusione che si dissolve nell'abbraccio del suo arrivo, dove un'angoscia contenuta esplode in parole di rabbia. Quando Barbara arriva in visita, mi confronto con lei con un misto di stupore e frustrazione. "Cosa cavolo ci fai lì fuori? E soprattutto, perché non rispondi al mio saluto?" chiedo, l'urgenza di capire si fa strada nelle mie parole. Il suo sguardo si riempie di meraviglia e una risata solleva il peso del mio cuore. "Mi hai visto dalla finestra? Ma se siamo all'undicesimo piano!", mi dice con una dolcezza intrecciata alla meraviglia.

Il danno celebrale, l'amputazione della mia gamba, diventano la pietra miliare del mio risveglio. La consapevolezza si fa strada tra le pieghe di una mente tormentata, mentre accetto la mia nuova realtà. Non sono più intero, ma come una fenice che risorge dalle ceneri, mi preparo a intraprendere il cammino verso la mia rinascita.

La forza di volontà diventa un faro nella notte buia del mio percorso. Ma è il sostegno di Barbara e di tutti coloro che si sono riuniti intorno a me che rende possibile il mio viaggio. La gratitudine riempie il mio cuore, riconoscente per l'amore e il coraggio che hanno superato ogni ostacolo. In questa danza tra vita e morte, ho imparato che la nostra esistenza è intrecciata con fili invisibili che ci legano l'uno all'altro. Attraverso la determinazione e il supporto di coloro che ci circondano, possiamo trovare la forza per affrontare anche le sfide più difficili.

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